“E se il bus fosse scoppiato mentre ero nel centro di Tunisi, appena dieci giorni fa?”
…avrei potuto chiedermi dopo aver appreso la notizia dell’ennesimo attentato terroristico rivendicato dall’Isis avvenuto ieri a Tunisi (del quale ovviamente i media parlano ben poco e per il quale nessun italiano ha “colorato” la propria foto del profilo di facebook!).
E invece no.
Sinceramente la notizia non mi ha fatto particolare effetto e nemmeno quella di Parigi (intendo dire: non più di qualunque altra simile notizia di tragedie).
Non lo scrivo per vantarmi o per dimostrare particolari doti di coraggio, ma semplicemente perché credo sia interessante condividere una riflessione che mi è sorta spontanea a seguito di questo evento.
In queste settimane ho ascoltato molti pensieri di paura, sia dalle persone che abitano le città in cui vivo, sia nelle community di viaggiatori abituali: molti temono per la loro sicurezza e per la loro vita a causa del terrorismo.
La frase che spontaneamente mi viene da pronunciare con convinzione in questi casi è sempre la stessa: “io non potrei mai morire in uno di questi attentati, ho troppe cose importanti da fare“.
Per quanto la mia considerazione possa sembrare sciocca, presuntuosa o semplicemente incosciente, nasconde di più: avere uno scopo nella vita, sentire un movimento verso qualcosa di importante fa davvero la differenza nelle emozioni che proviamo.
Tutti possiamo razionalmente comprendere che la probabilità di morire in un attentato terroristico sia infinitamente più bassa rispetto a quella di subire un incidente stradale, tuttavia questo non fa la differenza rispetto alle emozioni che proviamo (la paura è una di queste) e che scaturiscono dentro di noi.
L’idea che vivere in una grande città o viaggiare sia pericoloso nasce dalla generalizzazione che la nostra mente opera in relazione a una notizia emotivamente significativa che abbiamo appreso: siamo più facilmente portati a pensare che lo stesso evento possa accadere a noi proprio perché l’accaduto ci ha emotivamente colpito.
In altre parole, quello che è accaduto inaspettatamente vicino a noi ci ha insegnato ad avere paura.
E’ importante chiedersi, inoltre: quale ruolo hanno i media e le notizie che sentiamo sulla paura che proviamo?
Perché gli italiani non hanno reagito allo stesso modo ascoltando la notizia dell’attentato al Museo del Bardo di Marzo (ancora in Tunisia) rispetto a quello di Parigi?
Eppure la distanza fra Roma e Tunisi è minore rispetto a quella fra Roma e Parigi.
Non è così importante l’evento in sé, ma come lo abbiamo percepito e, per altro, come la notizia arriva a noi (l’intensità e la frequenza con la quale ci viene “ricordata”, oltre che la “somiglianza” culturale che viene evidenziata dai media fra la Fracia e l’Italia).
Una soluzione che voglio fornire a chi si trova a vivere la paura del terrorismo è quella di focalizzare le proprie energie, le proprie intenzioni e le proprie azioni su qualcosa di davvero importante per sé.
Impariamo a vedere diversamente questi eventi, usiamoli come stimolo per realizzarci maggiormente attraverso la vita e darle valore, per diventare pienamente la persona che vogliamo essere.
Così facendo l’entusiasmo avrà la meglio sulla paura e la paura si dissolverà.
Ora, a qualcuno può riuscire più facile, ad altri richiederà un po’ più di impegno, ma questo è il significato di imparare a gestire le proprie emozioni e mettere in gioco il nostro potenziale di esseri umani.